Sahib, un romanzo di Nenad Veličković

Le nostre vacanze, ahimè, sono ancora lontane. Ma certamente qualcuno di voi già si appresta ad abbrustolirsi al sole in compagnia di un bel libro: inauguriamo dunque per voi l’angolo letterario di questo (no)blog. Il primo libro di cui vogliamo parlarvi  è SAHIB, un romanzo di Nenad Veličković, che è indiscutibilmente la lettura più interessante che mi sia capitata nel 2009.

Sotto ne riportiamo una breve descrizione.

 

Sahib è un romanzo epistolare
ambientato nella Sarajevo post-dayton: tramite sessant
a messaggi di
posta elettronica, l’autore ci racconta la sua Bosnia vista
attraverso gli occhi di un operatore di pace inglese che mantiene una
fitta corrispondenza con il suo amante. E sarà questa corrispondenza
a mostrarci la rigidità e gli stereotipi con cui tutti noi dobbiamo
fare i conti quando proviamo a metterci in relazione con l’Altro.
Infatti il protagonista, che è anche la voce narrante, è
straniero e lo dichiara fin dalle prime pagine:


Nisam
č
ekao
na pasoškoj i carinskoj kontroli, jer nas (strance) njihova policija
i carina nemaju pravo kontrolisati”
1


E questa alterità è duplice: egli è
omosessuale e vive la sua diversità in un paese molto conservatore e
tradizionalista che non vede di buon occhio l’omosessualità nemmeno
in termini di finzione letteraria (per questo l’autore è stato
duramente criticato dai suoi connazionali). Sahib è il nome
dell’autista privato del protagonista, unico interlocutore con cui
presto costruirà una vera e propria amicizia e di cui il suo
compagno, Džordž, è follemente geloso. In effetti è con lui che
passa la maggior parte del suo tempo, ed è proprio questa amicizia
alla base dell’incontro fra oriente ed occidente, fra due individui
che fino alla fine sentiranno il peso di essere stranieri agli occhi
dell’Altro . Un amicizia particolare che renderà possibile una serie
di situazioni comiche, fraintendimenti, incomprensioni e vittimismi.
La scelta del nome non è casuale: Sahib significa compagno,
amico, ma anche “proprietario” e in effetti il loro è un
rapporto di dipendenza. La parola sahib inoltre veniva usata dai
popoli indiani nel periodo delle colonizzazioni per definire gli
europei. Benchè la trama sia semplice, il ritmo è incalzante: ben
presto si crea l’atmosfera del triller e il lettore si chiede se lui
sia realmente innamorato di Sahib oppure no. Lo scoprirà soltanto
leggendo la sessantesima ed ultima lettera.


Il personaggio descritto
da Veličković è autentico: egli riesce ad immedesimarsi
perfettamente nella mentalità di un funzionario di un
organizzazione internazionale a cui è stata offerta la possibilità
di svolgere un lavoro “utile” per un progetto “umanitario”
senza troppe responsabilità e con un buon salario. La critica alle
ONG e ai loro progetti di dubbia utilità viene espressa mediante un
umorismo che cresce di pagina in pagina:



Moram
pregledati dvije ef-ar-ej, nisam još uskladio ej-ti-efove sa
aj-si-kjuovima, iz prokjurmenta mi traže revalorizovane ou-si-die,
moj sedmični report nisam još počeo a sutra je dedlajn, iz
ou-dži-esa su mi poslali šesnaest strana dži-aj-era, a šef sutra
ujutru očekuje moj brifing kojeg ne mogu završiti bez pi-em-esa.”
2


L’autore
citando serie di sigle incomprensibili ironizza e ci mette in guardia
sul fatto che probabilmente dietro questi briefing, rapporti
settimanali, e dead line non c’è nulla di concreto
.
E
lo dimostra chiaramente descrivendo la sua giornata tipo:

Imamo
pravo na sat pauze, ali to važi samo za lokalce. Mi ostali možemo
ostati i duže.Od devet do deset čitaju se vijesti na internetu.
[…]Od deset do jedanaest e-mailom se šalju i primaju vicevi i
druge zajebancije. […]Od tri do pet surfamo, ili igramo
igrica.[…]Izuzetno, četvrtkom, imamo sastanak sa šefom. Pošto
šef obično kasni ili ne dođe, to vrijeme iskoristimo za dogovore o
vikendu. Od pet do sedam čekamo da neko prvi pođe kući, a oko
devet izlazimo ili idemo na neki prijem ili party. Posao nije težak.
Najteže je sastaviti dnevna saopštenja lokalnim novinarima i
odgovarati na njihova pitanja. Srećom, od nas se ne očekuje da
odgovori budu u vezi sa pitanjima. Važno je samo da se nekoliko puta
ponovi neka riječ koju izabaremo za taj mjesec.
(Ovaj
mjesec je to “korupcija”. Na oglasnoj tabli već ima prijedloga i
za sljedeći: meni se najviše dopadaju
povratak
i
antiterorizam
.)
3


In queste pagine è
evidente la condanna dell’autore alle politiche di colonizzazione
dell’occidente che si nascondono dietro la retorica della liberazione
e della democratizzazione dei popoli. Ci fa riflettere sul fatto che
proprio coloro i quali ieri vendevano le armi, oggi lucrano sulla
loro distruzione. Veličković, nonostante questo, è lungi
dall’idealizzare lo stato bosniaco prima del conflitto, al contrario
la sua satira è anche diretta a sottolineare le contraddizioni del
regime socialista, le politiche del dopoguerra e la stupidità con
cui i cittadini tentano di affermare ad ogni costo la propria
identità nazionale (soprattutto dal punto di vista linguistico).



Ovdje
se govore tri razli
čita
jezika: srpski, hrvatski i bosanski. U povjerenju, mislim da je to
jedan jezik, kojeg svaki od tri naroda zove druga
čije.
(Bilo bi dobro nau
čiti
ga, i onda u CV-u pisati da znaš tri!) Razlikuju se u nekim
rije
čima.
Npr. Srbi kažu kafa, Bošnjaci kahva, a Hrvati kava. […] U jednoj
hrvatskoj kavani, ovo mi je Sakib pri
čao,
u cjenovniku je pisalo kava 1 marka, kafa 2 marke

a
kahva 3 marke. Od tada on svugdje naru
čuje
ili kapu
ćino
ili espreso.”
4


Con
lo stesso sarcasmo vengono criticati i giornalisti bosniaci che non
fanno altro che servire i redattori delle testate e che a loro volta
servono il partito di appartenenza. Le problematiche sociali e
politiche della vita quotidiana nella
Daytonland
saltano immediatamente all’occhio dell’occidentale: la
disoccupazione, la corruzione, il nazionalismo.


La
vera cifra stilistica dell’umorismo di Veličković è però il
linguaggio; pregno di neologismi entrati nella lingua serbo-croata
negli ultimi anni attraverso il
business
english,
segno
evidente di una globalizzazione culturale ma anche linguistica. Fa
inoltre un grande uso del gergo sarajevese e utilizza espressioni
divertenti come

ležeći policajac
(dosso
artificiale, letteralmente “poliziotto sdraiato”),
imao
sam groznu frku
(ho
avuto un grande problema),
surfovati
(navigare su internet),
sapunica
(soap opera),
mamurluk
( sbornia) etc… Ma gli anglicismi presenti nel testo sono
soprattutto funzionali alla caricatura dello straniero: per sua
stessa ammissione l’autore utilizza in larghissima misura espressioni
inglesi benchè queste siano perfettamente traducibili in
serbo-croato:


Ja
se probudim u ovoj faking sobi, u faking hotelu, u faking Bosni”
5

Qui
l’autore avrebbe potuto utilizzare il termine
jebeni
al
posto di

fuking

ma non l’ha fatto. Gli esempi sono innumerevoli: utilizza
ofis
al posto di
kancelarija,
šoping
al
posto di

kupovina, dauntaun

al posto di
grad
o
čaršija,
kis
al
posto di

poljubac, kamerman
al
posto di
snimatelj,
inkredibl
al
posto di
neverovatno,
step
al
posto di
korak
etc..

Inoltre
mantiene invariato il grafema x in parole come
fax
(faks)

e
sex
(seks).

E’
divertente notare come lui si prenda gioco dei locali che scrivono in
un inglese scorretto e approssimativo:
“Pliz
dont parking andr maj balkoni

oppure

Ai vil slip in podrum”
6

 

Alla fine il mistero
viene svelato con un colpo di scena: il protagonista non torna a casa
per festeggiare il Natale come aveva previsto ma si trasferisce a
Belgrado dopo aver lincenziato Sahib. Nella penultima lettera, in cui
spiega a Džordž il motivo per cui quel giorno all’aeroporto di
Heatrow l’aveva atteso invano, finalmente ammette:


Džordž,
bio si u pravu. Od početka, od prve Tvoje sumnje, bio si u
pravu.[…] Da, ja sam se zaljubio. [···] Ne nije to bila ljubav,
bio je to rat, od početka.”
7


La scena d’amore finale,
in cui Sahib concede il suo corpo, è emozionante. L’autore offre qui
la chiave di lettura per rispondere alle domande che implicitamente
pone fin dall’inizio del romanzo: chi siamo noi? Chi sono gli altri?

Si tratta davvero di
amore oppure la sodomia può essere letta come la metafora del
dominio dell’occidente neoimperialista?

                                                                             

 

Nenad
Veličković è nato a Sarajevo nel 1962.
Docente
di letteratura serbo-croata all’Università di Sarajevo, è autore
di opere di narrativa, saggistica, poesia e di sceneggiature
televisive. In italiano sono già apparsi "Il diario di Maja"
(
Konačari,
1995)

e “Il padre di mia figlia”(
Otac
moje kćeri
,
2002); ma è anche autore di

Đavo
u Sarajevu

(1996),
Sarajevski
gastronauti
(2000),
Viva
Sexico

(2006) e
100
Zmajeva

(2007).


I suoi libri sono tradotti in inglese, tedesco, italiano, polacco,
bulgaro, ungherese, sloveno, ceco e macedone.

 

 

1Pag.
5 “Non ho aspettato alla dogana e al controllo dei passaporti
perchè la loro polizia e la loro dogana, a noi (stranieri) non
hanno diritto di controllarci.”

2
Pag. 33. “devo conrollare due f.r.a., non ho ancora messo a posto
gli e.t.f da i.c.q, dal procurment mi chiedono le o.c.d
rivalorizzate, il mio report settimanale non l’ho ancora iniziato e
la dead-line è domani, dall’ o.g.s mi hanno mandato sedici pagine
di g.a.r., inoltre il capo domani si aspetta il mio briefing che
non posso finire senza p.m.s.”


3Pag
10. “ Abbiamo diritto a un’ora di pausa, ma questo vale solo per i
locali. Noi possiamo rimanere anche più a lungo. Dalle nove alle
dieci si leggono le notizie si internet. Dalle dieci alle undici si
mandano e si ricevono barzellette e altre cazzate tramite e-mail.
Dalle tre alle cinque navighiamo su internet o giochiamo al
computer. Eccezionalmente, di giovedì, abbiamo la riunione con il
capo. Siccome il capo generalmente tarda o non viene, approffittiamo
di questo tempo per mettersi daccordo sul week end. Dalle cinqeue
alle sette aspettiamo che il primo vada a casa, e verso le nove
usciamo oppure andiamo a qualche ricevimento o party. Il lavoro non
è difficile. La cosa più difficile è stare dietro alla
comunicazione quotidiana con i giornalisti locali e rispondere alle
loro domande. Per fortuna da noi non ci si aspetta che le risposte
siano legate alle domande. L’importante è che si ripeta alcune
volte una parola che abbiamo scelto per il mese in corso. (Questo
mese la parola è “corruzione”. Nella bacheca degli annunci ci
sono già alcuni consigli per il mese successivo: a me piacciono in
particolare “ritorno” “antiterrorismo”.)

4Pag.27:
“Qui si parlano tre lingue differenti: serbo, croato e bosniaco.
In realtà, credo che sia una lingua sola, che ognuno dei tre popoli
chiama diversamente. (Sarebbe bello impararla, così puoi scrivere
nel CV che ne sai tre!). Si differenziano in alcune parole. Ad
esempio i serbi dicono kafa,
i bosniac
i kahva e i
croati
kava. In una
caffetteria in Croazia, questo me l’ha raccontato Sakib, nel menù
c’era scritto kava 1 marco, kafa 2 marchi e kahva 3 marchi. Da
allora lui ordina daperttutto o un cappuccino o un espresso.

5Pag
7.: “Io mi sveglio in questa fottuta stanza, in un fottuto hotel,
nella fottuta Bosnia”

6Pag
37. “Non parcheggiare sotto il mio balcone perfavore” e “Io
domirò in cantina”.

7Pag
165.

Džordž,
avevi ragione. Dall’inizio, dai tuoi primi dubbi, avevi ragione. Si,
mi sono innamorato. No, non era amore, era una guerra, dall’inizio”

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